"<<A' mà... pecché?>>
In realtà, questa sua domanda non pareva rivolgersi proprio a Ida là presente: piuttosto a una qualche volontà assente, immane e inspiegabile. Ida invece di nuovo s'immaginò che lui la accusasse per averlo rinchiuso dentro casa a tradimento; ma presto nei seguenti giorni dovette convincersi che tale spiegazione non bastava. Quella domanda pecché? era diventata in Useppe una sorta di ritornello, che gli tornava alle labbra fuori tempo e fuori luogo, forse per un movimento involontario (se no si sarebbe preoccupato di pronunciare bene la erre). Lo si sentiva a volte ripeterla fra sé in una sequela monotona: <<pecché? pecché pecché pecché pecché?>> Ma per quanto sapesse d' automatismo, questa piccola domanda aveva un suono testardo e lacerante, piuttosto animalesco che umano. Ricordava difatti le voci dei gattini buttati via, degli asini bendati alla macina, dei capretti caricati sul carro per la festa di Pasqua. Non si è mai saputo se tutti questi pecché innominati e senza risposta arrivino a una qualche destinazione, forse a un orecchio invulnerabile di là dai luoghi."
Elsa Morante, La Storia
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