lunedì 27 aprile 2020

Cena (25)


ORAZIONE


(Che,
a mo’ di saluto,
fuor-usciti,
mentre la morte già lo guarda
dalle torri di Còrdova,
il nostro rivolge,
come congedo,
ai tré rimasti,
poiché il sacrestano e il médico,
stranamente,
non ci sono più.)

Sai la casida del pianto di Garcia Lorca?

Ho chiuso la finestra perché non voglio sentire il pianto,
ma dietro i muri grigi non si sente che il pianto. Ci sono pochi angeli che cantino, ci sono pochissimi cani che latrino.
Mille violini stanno sul palmo della mia mano.

E’ come un concerto di grilli impazziti dal caldo. Si sta bene in giro col gilet e i pollici alla cintura. A passeggiare.
Niente paura, ragazzi. Ciao, Filippo e grazie. Penserò ancora a te, come un istante fa, sicuramente.
Sì, sì. Sto attento. Ho la testa sulle spalle.
Bevuto? Sì, ma lo tengo bene il vino.
Ragazzi, pensando al mondo e a Dio, pensate anche a me, qualche volta.

Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

domenica 26 aprile 2020

Cena (24)


Bravo, Filippo! Ti mèriti un brindisi.
Senti, senti che evviva!
Ma làsciali fare. Che si sbrònzino duri. Tu, ascòltami.
Perché, quando stiamo bene, ci dimentichiamo delle
cose grandi e diventiamo bestie?
E perché, quando stiamo male, ne prendiamo motivo
per far la stessa cosa e diventiamo, anche allora, bestie?
Ci vuole, non so, un distacco enorme da se stessi per
ricordarsi e rivivere le cose grandi nell’euforia, nel dolore e nel
l’infamia dell’errore.
Vedi che sono lucido ancòra?
Io spero che arrivi presto, per me, l’età in cui certa menzogna
non ci sia più. Ma verrà? Un’età in cui ci sia solo la
contemplazione.
La contemplazione, questa sì ch’è una parola diversa,
ragazzi!
Io, qui, ho visto una massa di gente smarrita in case in
rovina. Non parlo solo delle case di mattoni. Del cuore parlo.
Si è raggiunto un modus vivendi che rende accettabile
anche la noia, anche la mancanza di lavoro,
anche il venire
di giorni in cui non accadrà nulla.
Perché fuggite il punto fondamentale?
Guardate ‘ste facce qua attorno. Guardate! Molti son
destinati all’ozio, a vite inutili e squallide. A squallide morti.
Come dice Eliot.
Anche la morte è diventata la sera dalla quale ci si salva
non pensandoci, per voi. Anche la morte ci trova insensibili,
non dice nulla.
E guardali come invocano e àugurano. Invocano chi?
Augurano cosa? Li credi amici?
Cos’è per loro stare insieme? Un alveare senza miele,
una seccatura se non c’è da godere, una casa priva di figli da
tirar grandi, un albero senza frutti.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

sabato 25 aprile 2020

Cena (23)

INVOCAZIONI


(Alla fine delle quali,
il lettore accorto
potrà
rèndersi conto
che la dignità
non è vincere,
ma saper rinàscere
e che l’ars moriendi è una virtù
da conquistare
e che, in fin dei conti,
è possibile
farsi una domanda:
“In vino veritas?”)
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine


venerdì 24 aprile 2020

Cena (22)

CANTICO
TRA
GLI
EVVIVA


(Dove,
pure,
dimenticando il proverbio
dei briganti
“Non t’ingannare della cortesia”,
nel cuore delle tenebre,
anziché dire
alla confidenza
“Keep left”,
il Pasquale rivela
alcuni particolari
al mèdico).

Ma lascia che i morti seppelliscano i morti!
Facciàm come Dio, va’, dottore, che ascolta anche i miseri, senza frustrarli. E beviamo alla salute dell’orologio di piazza Polmonite.

Le vittime sono necessarie. E il ventitrè novembre ottantuno faranno il compleanno del terremoto: aggiusteranno l’orologio, credendo di aver messo a posto tutto!

Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

giovedì 23 aprile 2020

Cena (21)

RESPONSORIO

(In cui il nostro Pasquale,
trasformàndosi
da quercia
in ulivo ritorto,
col pudore sconvolto
dell’infelicità,
dà il disco verde
al suo tormento
- che sfoci-
e
rivela un fatto
importantissimo e crudele.)

Sai qual è? La morte.
Ma non la morte così. La morte di Silvia, di mia moglie.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

mercoledì 22 aprile 2020

Cena (20)

(Dove,
finito il làuto cenone,
durante il quale
si son bevuti fiumi
anche
delle acque oligominerali,
arsenicali-ferruginose,
sulfuree – o zolfose? –
di Rapolla e di Contursi,
acque benèfiche
all’apparato genitale,
ai reni,
alle articolazioni,
il vino dà forse alla testa
e uno cade per terra.
Eccètera.)



Eh, sì: l’uomo scopre che il piede gli affonda dove aveva creduto di camminare sulla roccia. E viceversa. È il tuo destino che ti dice: Ragazzo, non credere di aver fatto chissà cosa. Ne hai ancora di strada!
Per me è così.
Come?
Un discorso? Ah, il famoso discorso.
Anche tu? Ah, è per quello che scrivevi. Ti sei preparato?
Ohèi, Filippo. Quando tocca a te, tiènila corta. Altrimenti ti facciam cadere per terra.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

martedì 21 aprile 2020

Cena (19)

Ma che ti serve guadagnare, se perdi il motivo della vita? Che vai avanti per fare, per i figli?
Ma i figli, quando toccherà loro, se n’andranno dove vorranno. Ed è giusto. E allora, tu?
Sì, così: con gli spintoni della buona e della cattiva sorte!
Sì. Lo so, come dite voi, che nessuno nasce imparato.
No, ragazzo mio. Mi meraviglio di te che sei sacrestano e quindi un quasi – prete: un uomo vuole sempre raggiungere la vetta di un colle nella vita, se ne sbagli uno, non fai più in tempo a scalarne un altro.
Sì, per noi il passato è passato per sempre. Ma il passato resta anche in eterno. Sennò, che càvolo ci sta a fare la morte?
Insomma: la morte c’è. Che vuol dire?
Vuol dire che tutto ciò che fai, adesso, in questo istante, finisce. È il limite.
Ecco: ma, nello stesso tempo, vuol dire che ciò che fai resta in eterno, perché ti determina per sempre. La morte è una parabola, un’allegoria.
Sì, un’allegoria che fa male. Un’allegoria assurda, ma, se non ci fosse, così com’è, imprevista e crudele, noi saremmo tanto superficiali da annientarci con le nostre mani.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

lunedì 20 aprile 2020

Cena (18)

Comè?
Interessante. Un occhio più grande dell’altro, cigli folte alla Charlot, bocca con una linea perfetta, un naso a patata e gli occhiali.
Lei voleva diventar suora, credo. Era là con le salesiane. Viene da san Chirico, è maestra d’asilo. Le ho parlato perché, qui tra voi, nessuno s’interessa mai di nessuno, a meno che non gli dia fastidio o non gli interessi per far dei soldi. O per curiosità: se uno fa delle cappellate, vi interessate a lui.
Abbiam parlato, la prima volta, del telefono. Poi della morte, sì. Della morte: con tutti i morti che c’erano a Laviano! Io le ho detto che bastava che tutti i vivi avessero avuto uno specchio e già avrebbero visto i veri morti.
No, non solo di quello. Le ho detto anche che le suore non servono più così come stanno al mondo: c’è bisogno di gente che sia dentro al mondo, nei luoghi di lavoro. Dio ha bisogno di gente di carne e non di vergini sbiadite e smunte.
No, non è esagerazione. Voi siete addormentati da un qualche diavolo, cacchio! È così. Sennò, come fa un uomo a dire che Cristo è vivo? Come fa a credere che Dio è per l’uomo? Perché veniamo al mondo? Perché si deve lavorare? Allora è meglio far tutti i preti, i frati e le suore!
No, per favore. Il nocino no! Mi fa voltar lo stomaco. Non c’è un bell’alcòlico?
Dài, il Chivas!
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

domenica 19 aprile 2020

Cena (17)

SALMO
SETTE

(Dove si passa
- senza accennare
a Mario Sossi
né ad Aldo Moro
né a Giovanni d’Urso –
dal
de òmnibus dubitandum est
al
Gòspodi, pomilui,
dalle suore al Chivas
dalla Rosa alla Maria
dal senso della nàscita alla morte.)

Seamancoramiamòglie?
Perbacco! Come fa uno a dimenticare la propria carne?
Gli anni non contano. Il passato è presente. Nell’attimo c’è il tutto.
Non sono mica il Mozart, ch’è un mezzo dongiovànni.

No, un momento: la Rosa l’ho incontrata a Muro Lucano. Da un orologiaio, che m’ha anche fregato sul prezzo.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

sabato 18 aprile 2020

Cena (16)

Ho detto ch’è stato un miracolo. Anzi: è stato un miracolo ostile: io avrei preferito restare tonto come prima e, se mi fossi ucciso, come pensavo, non avrei sofferto. Ma, se la vita m’ha fatto rinascere, ci sarà pure un motivo.
No, il motivo non me l’invento io! Tutti i capelli della nostra testa sono contati. E non si muove foglia che Dio non voglia, ragazzi! Perciò anche la mia lucidità ha un segno.
Senti, Filippo: mi sembra che questa cena sia un testamento. Se è così, tenètevi ben in cuore, dove può darsi che si trovino il cielo e la memoria, le cose giuste che v’ho dette.
Io non speravo nulla. Avevo deciso così ed ero tranquillo. Ero vuoto. Poi, però.
Certo, lo so: dovevo temere le speranze. Di qualsiasi tipo.
Sentite: voi siete perfetti? Chissà che fate, di nascosto! E magari rimproverate e picchiate i vostri figli in quello stesso peccato che voi state ancora facendo. E allora: che cazzo venite a fare gli inquisitori a me?
Bèh, ho raccontato i miei guai perché credo all’amicizia sincera. Il problema è che l’unica amicizia sincera, veramente sincera, si può avere solo con chi spera in ciò in cui hai fiducia anche tu.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

venerdì 17 aprile 2020

Cena (15)

Coselapreghiera?
È riflettere di fronte al proprio destino. E, siccome il destino è diventato uomo, si può anche dargli del tu.
Tòh, bentornàto dottore! Anche tu la vescica? O la pròstata, come i papi?
Stavàm parlando della guerra d’amore. Dicevo che è un regno che ha limiti e, nello stesso tempo, non li ha. I limiti li mette il fatto che tu ami l’altra persona come e quanto ami il suo destino. Almeno questo, per cominciare.
In altro modo non saprei uscirne.
Ti trovi in un posto che non ha limiti né uscite.
Niente da fare. Se sei controllato e squadrato, non è amore. Nell’amore i sì si succedono ai sì, all’infinito. E, se non fosse così, non esisterebbe neppure la fede, che è la cosa più ragionevolmente normale che ci sia al mondo. È fatta così: di sì dietro sì, per meraviglia, per attrazione, per ragione: per amore.
È un mare in cui nàvighi. Non è una dimostrazione filosofica! E, mentre stai navigando, ti vien poi la paura di affogarci. E ti domandi, coi brividi per il futuro: E se annegassi? Se ami davvero, quando ti fai questa domanda sei già annegato.
Si chiama affidarsi per sempre, amarsi per sempre. È la passione, secondo me. Ogni altra cosa che si intenda per passione è solo roba da bestie.

giovedì 16 aprile 2020

Cena (14)

Coselamòre?
E chi lo potrà mai spiegare? Secondo me, bisogna guardar Cristo: l’amore è lì.
So anch’io che non c’è regola fissa. Ma qualcosa di fisso c’è: che non devi cercar te stesso.
Bèh, con Annarella, per esempio, la moglie del Mozart, è diverso. Lei: la incontri e già ti fa paura.
Sì, paura. Eh, cosa vuoi? L’amore per il Mozart è cominciato da piccoli sì.  E lei è una che glieli avrà fatti dire per forza. Dovresti esser premunito, incontrandola.
L’amore comincia da piccoli sì! Si tratta di piccoli sì ripartiti con arte e astuzia, nei punti chiave.
Ma bisogna stare attenti, amici: un sì tira l’altro. Poi ti trovi sposato. Legato mani e piedi.
Basta avere gli occhi aperti? No.
Basta sapere la propria debolezza.
C’è una preghiera che dice: Chi sta in piedi da solo cerchi di non cadere. È un salmo. Me lo ricordo sempre. Come farete voi, che ne fate certo da bestie, cioè senza giudicarle, e non sapete cos’è la preghiera? Mah!
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

mercoledì 15 aprile 2020

Cena (13)

SALMO
SEI

(Dove il discorso
- che dobbiam stringare,
perché non sarebbe abbastanza
una vita
per svòlgerlo tutto –
si fa più pregnante
e i fatti narrati dal nostro
son più numerosi e curiosi,
nella speranza 
di non annoiarvi.)

Vito, non pensar sempre male. Filippo, qui si trascende! No, vi sto parlando sul serio.
Non siamo al mondo per aiutarci?
Caro mio, a parte il fatto che bisogna vedere cos’è o cosa non è la purezza, di certo la carità vale di più della castità.
No, caro sacrista, non è lassismo: sai cos’è l’uomo?
Eh, sì. Belle definizioni assurde. L’uomo è un essere che sa pregare. Ma pregare davvero: che non è tanto il dire le preghiere.
Il meglio è contrario del bene. Hai visto Venezia? Se l’avessero fatta squadrata come fanno gli architetti e gli urbanisti oggi, non sarebbe quella cosa magnifica che è.

Ah, voi credete di essere capaci di far da soli? Allora voi cercate voi stessi, cercate la vostra perfezione, non Dio. Simoniaci siete.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine


martedì 14 aprile 2020

Cena (12)

SALMO
CINQUE

(Nel quale
il nostro Pasquale
imitando
la vecchia della caverna
che raccontò la fàvola di Eros e Psiche,
o, se preferite,
Clàudio Villa
- a great italian singer? –
che ti dà
la cosa più bella che ha,
ci narra
altre avventure,
etiam peccata.
Così voi
Potrete conòscere altri personaggi
Presentati sempre dal Chieffo.)

Beh, degli amici sì. Se uno è un amico, dev’esserlo fino in fondo. Io, un amico, lo inviterei a cena anche se avessi il portafoglio pieno di ragnatele e la casa esposta al vento dei creditori. Il Mozart è stato un po’ così per me.
Certi altri sì, m’han fottuto. Certi nobili amici è meglio perderli. Son come chi viene fraterno in casa a fregarti la donna. Infiltràti!
Non prendertela troppo, Pasquale. Verrà la morte e metterà tutto a posto.
Eh, sì. Purtroppo. La morte. “Siate maledette malvage tenebre dell’Orco, che ingoiate quanto c’è di bello”: è Catullo. Tradotto da Pasquale Chieffo all’istante. Ti ho creduto un amico, destino, quand’ero giovane. Bevi, Rosmunda!
Risposàrmi? Sei pazzo? Libero, ragazzo! Libero. Una vita dedicata a tutti quelli che incontri.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine


lunedì 13 aprile 2020

Cena (11)

La causa della malattia mentale è il non sapersi esprimere. Mentre la causa del dolore è l’incomprensione.
Anche per Francesco: non si può fuggire dalla vita. D’altra parte, non si può nemmeno vivere senza pietà e lui, forse, prima, è stato invece troppo crudele.
Ragazzi miei, il problema è sempre il fine, lo scopo. Torniamo a bomba! Se c’è quello, tutto si risolve, altrimenti, ciccia!
Bèh, adesso, dopo il secondo, che c’è?
Scamorzaifèrri?
Toh, mai sentita. E sì che, appunto col Francesco, mi son fatto tutta una cultura sui formaggi. Ma che la scamorza si facesse ai ferri proprio non lo sapevo.
La scamorza è quello che noi chiamiamo tosòne. Noi, cioè al Nord. Così ho capito dal Francesco. Pover’uomo, ‘sto Francesco. Il suo era un puntiglio, ma all’Alfonsina voleva bene.
Ah, son sicuro, mi ha detto: Come l’avrei amata di più, se vivesse! Tutti. Il suo problema, adesso, è quello di vivere: a fare? Perché?
Ricostruirsi una vita. Che vita? Alla sua età, poi. È facile dirlo: gliel’ho detto anch’io. Ci vuole uno scopo, ragazzi! Lo scopo. Capisco perché ho visto più suicidi in questi mesi che in tutto il resto della mia vita.
Voi siete pieni di segni religiosi e di preti. Ma è una fede che non s’immerge nella vita, nella carne. Capite?
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

domenica 12 aprile 2020

Cena (10)

CANTICO

(In cui
Pasquale Chieffo
Continua a parlare
- anche d’amore, sì;
ma quì non c’entra la Peverelli –
coi suòi cinque commensali
- dei quali non si ripòrtano mai
le parole, che sono tuttavia intuìbili –
e racconta fatti che non saprà
chi non li leggerà
o non se li farà leggere.)

La cosa più importante per essere lieti non è il non far fatica, Vito. È sapere dove andare. Non fare come il Cecato!
Tu vuoi, tu vuoi! Non è quello che tu vuoi. Nella vita si voglion tante cose e si crede che la felicità sia lì. Poi resta l’amaro in bocca. 
Proprio. Perfetto: come le donne!
Però, ti dirò che amar davvero una donna è molto più vicino a quello che intendo io che qualsiasi altra cosa. Non c’è di meglio.
No, no. Appunto: ciò che è più vicino è anche più pericoloso. Perché lo si può facilmente confondere con lo scopo vero. È l’ambiguità delle cose umane. Tu, Filippo, mi capisci? Sai cos’è l’analogia? Tu, dottore, lo sai?
Ecco: tutta la realtà è analogica. È una scala che si avvicina sempre più all’alto: l’amore per la donna è il gradino più vicino alla meta. Per i nostri occhi, è quello che somiglia di più alla verità. Perciò, e qui entra l’ambiguità, si può confondere la mèta con ciò che le somiglia di più. Se ti fermi a quel gradino, sei perduto.
Eh, sì. Il vino fa filosofare.
Comunque, qualcuno è venuto per togliere l’ambiguità. Mi dispiace che non lo conosciate.
Sì, avete ragione. Mi trovate barboso?
Una volta l’ho chiesto alla Rosa e lei mi ha risposto: No. Ti trovo perennemente interessante. Mi ha lasciato disarmato.
No, no, non tutte. Ci son donne che sono pòlipi. Altre zanzare. Altre rane. Mi sento fiero quando ne butto via una così. Ma non è giusto. È disumano. Non so. Bisognerebbe aiutarle. 
Io mi domando: Cosa dovrebbe fare un vero uomo-maschio? Cos’avrebbe fatto Cristo? E voi?
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

sabato 11 aprile 2020

Cena (9)

Ah, sì? Il prete beve più di noi tutti insieme? Ma siamo in sei.
Bene. Significa che è un prete cattolico. Buon segno.
Bere non vuol dire ubriacarsi. C’è chi lo tiene e chi no. Col vino si è più sinceri.
Ma cosa c’entra? Il vino è per star forte. Come darsi un colpo di tosse prima di parlare in pubblico.
No, caro. Col vino non ho comperato nessuno. Il vino non fa miracoli. I miracoli sono un’altra cosa. Il fatto è che l’uomo non sceglie lui la strada che deve scegliere. Insomma, tu scegli di starci o no a quello che tu non hai scelto e che, perciò, non avendolo scelto tu, è un miracolo.
L’importante è sapere ciò che si vuole, qual è quella cosa che si desidera di più nella vita. A Rapone ho visto una donna impiccata in casa. Meglio lei che chi sta al mondo senza un motivo sufficiente. Si sta al mondo a che fare se c’è da soffrire e poi si muore? Vacca, ‘sto coltello non taglia.
Non urlo, non urlo! Poi, non ci son donzelle vicine. È carne che sembra stoppia: sta in mezzo ai denti e non si scioglie. Non va giù.
Si. Mastica, mastica. Ruminante.
Chescòpo?
L’assoluto. Tutto. Insomma, se dici Dio, a che pensi? Oppure: Padre nostro, che sei nei cieli che significa per voi?
Io me ne sono accorto da poco che nei cieli vuol dire nel nostro cuore e non sulle nuvole. Io sono sempre stato cristiano, intendiàmoci. Mio padre era cattolico, di quelli saggi: ci credeva anche in mezzo alle disgrazie e alla gente troppo intelligente che la voleva saper lunga. Ma per me era un rito, una cosa a parte, un fatto che non c’entra. Una superstizione: come per voi.
Te lo spiego così, a Brienza ho incontrato uno che lo chiamano Cecato: è uno svanito. Andava avanti un po’ per la sua strada, poi si fermava; pensava e guardava. Poi tornava indietro. Così più volte. Gli faccio: Dove deve andare? Mi pareva spaesato, non sapevo della sua mattàna. E mi risponde: Nun sacce. Poi ho capito ch’era poco sano di mente. Ma ecco: viver senza motivo è da pazzi, così. E ogni motivo è scellerato se non è la nostra felicità, un destino buono. Ecco: Dio è questo per me.
Certo: Dio ci fa anche morire. Diciamo che lascia che moriamo. Ma no, sì: ci fa morire. E allora? Che vuoi star qui a fare troppo?
Speriamo che almeno il Padreterno sia un killer dolcissimo.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

venerdì 10 aprile 2020

Cena (8)


Si, si. Ne ho viste e ne ho fatte. Ma questo è un inferno. Mi sembra d’esser Ulisse, con Priamo e i cavalieri, come li ha messi insieme il ghibellin fuggiasco.
Il problema è che a vent’anni si capisce poco e dai quaranta in poi non si ama più. Siamo scèttici, tutti. Non siamo più capaci di aver simpatia per niente. Non si sa più lavorare insieme. Uno invidia l’altro. Altroché cristiani! Bestie! L’uomo diventa una bestia e il sangue va in vino.
Non è un j’accuse, dottore. È la verità. Chi non ha più vent’anni se ne accorgerà.
Non si può aver vent’anni tutti allo stesso momento, sarebbe una vita senza storia.
Il matrimonio? No. Non è detto che sia quella la rovina. Il matrimonio è una vita comune: è un cènobio, come un convento. Ci son conventi e conventi. Dipende dalla regola che hai e dal cuore con cui la vivi. Anche di questo ho discusso con le suore a Laviano. E anche con la Rosa, la ragazza che era con loro. Chissà cosa farà, ora.
No, non insegno niente. Imparo. Imparo da quello che vedo e incontro. Dalla gente. Una volta ho fatto quattordici ore di viaggio in aereo con un arabo di fianco. Non lo conoscevo. Ma abbiamo parlato tutto il tempo, solo attraverso mie domande: senza insegnargli niente, ascoltavo le sue risposte.
Sì, ho viaggiato molto. Ve l’ho detto.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

giovedì 9 aprile 2020

Cena (7)


SALMO
QUATTRO

(Che nessun lettore
Deve permèttersi di non lèggere,
pena il non capir più nulla
in sèguito.
D’altra parte,
questo salmo ci potrebbe introdurre
ai vari tipi di abbraccio:
il bacio
con la rovesciata
alla “Via col vento”,
l’amplesso al divano,
l’incantonata alla “Hud il selvaggio”.
Io, invece, non vi introduco ad essi.)

Filippo, che scrivi? Sappiamo tutti che sei un buon commediografo. Ma a tavola non si lavora.
Anchepoèta?
Non lo sapevo questo. Me lo darai un libro.
A nessuno? Allora cosa scrivi a fare?
Lo dici tu che nessuno capirebbe. Avrai paura che ti prendano in giro, forse. Ma chi fa una cosa deve sapere che c’è sempre chi ne dice bene e chi male. C’est la vie! Non ti curar di lor, ma guarda e passa.
Guarda quella suora là in fondo come mangia e beve. Le vengon fuori gli occhi.
Bèh, lo vieni a dire a me? Lo so anch’io che son uomini anche loro. Cioè, pardon: donne! Ma ci son suore e suore. Ne ho conosciuto un gruppo a Laviano, con le cartoline di don Bosco dappertutto e le medagliette miracolose della Madonna. C’era la superiora, la capa, suor Olga, che mi faceva pietà. Suor Gelsomina, invece, quella sì era una donna di Dio, poveretta: ogni volta che l’incontravo, tra i bambini dell’asilo, l’abbracciavo e lei diventava rossa. Una volta con lei e suor Lucia siamo stati nella roulotte di una ragazza a parlare fino alle tre di notte. La ragazza si chiamava Rosa.
Parlardichè?
Secondo te? Della vita, della morte, di Dio, della gente.
Di queste cose.
Mica tutti hanno il cervello piccolo piccolo come voi. Vito, suona l’organetto, va’, che qui non portano più niente. Ohèi, sacrestano, vedo che hai fatto il bis! Non ingozzarti.
Lavorare, bere, dormire, tric-trac, aver la casa. È tutta qui la vostra vita? Filippo, dove vivi mai? Brutta razza. Tòh, Paternoster: bel nome per un vino. Azienda vinicola Paternoster. Barile. Casa fondata nel 1925, ma l’Agliànico migliore è quello di Rionero.

mercoledì 8 aprile 2020

Cena (6)

Beh, l’occasione è stato il terremoto, ma son venuto qui per scoprire una cosa. Una faccenda che mi riguarda. Credo di averla trovata a Laviano. Ma ormai è fatta.
C’è gente che andrebbe ammazzata. Che dici, dottore?
Sì, è giusto. Anche Argante diceva al dottor Purgone che la natura è l’unica medicina. Potrebbe esserlo stato anche il terremoto.
Ho detto potrebbe. Non ho detto che lo sia.
Comunque, o tutto ha un senso o niente ce l’ha. Se Dio c’è, tutto ha un senso.
Il rimorso è naturale ed è già la natura che si vendica.
E la natura: non è Dio che l’ha fatta? La tigre uccide e dorme, l’uomo uccide e veglia. Mi pare di Chateaubriand.
Sleep no more: Macbeth uccide il sonno.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

martedì 7 aprile 2020

Cena (5)

SALMO
TRE

(Dove il nostro Pasquale racconta,
mangiando e bevendo e monodialogando,
con mani occhi parole,
attorniato da facce
che pàiono quella
del busto di Nerone
ai musèi capitolini
- Compreso il doppio mento  –
e che gèttan fuori
occhi di cèfalo
appena pescato,
lùcidi e aperti,
alcune altre avventure
indispensabili
per capire questa storia.)

Ragazzi, c’è il primo!
È vero, non siam più ragazzi. Me si dice ragazzi perché insieme ci si sente come quando lo eravamo.
Cavatèlli.
Cavatèlli o cavatièlli?
Suppontapòrta? E cosa sono? Le torbiere dell’Iseo?
Ah, la differenza sarebbe dunque sul numero di dita che si usano? Bisognerebbe farla conoscere di più questa cucina lucana. Siamo proprio la Cenerentola dell’Italia. Senza università, senza fiera, senza metano.


Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine


lunedì 6 aprile 2020

Cena (4)

Perchedovrebbefarlo? 
Perché Antigone l’ha fatto. Ma Cristo non era ancora venuto, allora si poteva capire.
Sì, lo so che anche oggi ci sono i suicidi. Ma, se è un cristiano, è perché gli si è annebbiato il cervello, perché è esaurito. Credo che Cristo ha già patito per tutti e, imitandolo di più, possiamo affrontare ogni dolore anche noi.
Lei, la Luciana, per dirti, è una che si era innamorata del Mozart, anni fa. Ma lui non ne ha voluto più sapere. E lei è innamorata ancora, credo almeno. È una che sembra à la page nel senso peggiore e invece ha un cuore potente. È un tipo che vuole sposarsi, per esempio, col semplice mutuo consenso.
Come fanno gli indiani col rìto del gandharva. È una donna per la quale vorresti che il dolore non ci fosse e che potesse sorridere sempre. È impossibile invece non soffrire.
Beh, anche un altro. Un tizio di Venezia. Ma credo sia stata una cosa da poco.
Dammi un tarallo, va’, dato che non ci son grissini.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

domenica 5 aprile 2020

Cena (3)

SALMO
DUE

(Nel quale,
dopo il Mozart,
si conosce la Luciana
e si vèngono a sapere,
assieme a crònache
di un tempo fermo,
molte cose ùtili
a chi vuol capire questa storia
senza andar per rane.)

Ilmiolavòro?
Diciamo che sono in pensione ormai. Avevo una ditta che fa mutande speciali, per bambini e anziani. Sai? Di quelle che, quando un vecchio è a giocare alle bocce, non lo obbligano a correre al cesso se gli scappa, perché non fanno passare e, così, non si capisce se s’è lasciato un po’ andare.
Bèh, cose normali! La vescica è un peso sempre più, con gli anni. Ogni tanto, anch’io mi sento debole e mi tocca andarci più volte. Certe sere che son già a letto, mi ricordo che dormirei più tranquillo se andassi a pisciare; poi penso che mi devo alzare e attraversare la casa: allora, se fa freddo, sto lì.
Sì, insomma, che verbo vuoi usare, mingere? Si dice pisciare, ormai.
Filippo, lui che è professore, forse lui può trovare un verbo che sia meglio. Tanto, qui siamo tra uomini e ci si intende.
Ma sono là in fondo le donne! Che vuoi che sentano? A proposito, quellalà bionda in fondo, vicino alla suora, chi è?
Sì. E cosa fa?
Strano. Mi sembra quasi d’averla già conosciuta.
Non dir cretinate. Cosa vuoi che m’interessi?
Si. Cioè lo ero, lo fui. L’ho già detto a lui, prima.
È morta. Tanti anni fa. E non ho figli, se proprio vuoi saper tutto. Tu hai il vizio di esser troppo curioso, amico.
Va bene, va bene.
Ma qui ci dev’essere una porta aperta! Ci son di quegli spifferi che danno i brividi.
Saranno chiuse, ma il freddo c’è. Beviamo, va’. Coraggio, che la vita è di passaggio! Beviamo: in vino veritas.
Filippo, cos’hai, male ai denti?
Vedo che hai la mano sulla bocca. Comunque, anche per il mal di denti, l’alcol fa bene. Una volta ne ho bevuto tanto, per un molare, che ho preso la sbronza. È venuta mia cognata a svegliarmi alle tre del pomeriggio del giorno dopo. Era una bottiglia di Ballantines, però.
Sì, la sorella di mia moglie. È di Muro. Ah, forse: ecco a chi somiglia la bionda là in fondo. Alla Luciana, a mia cognata.
È maestra. Poi si è laureata. Era a Roma il giorno del terremoto, poi è venuta a casa anche lei. Poveretta.
È un modo di dire, per tenerezza. Mica che sia povera: è per dire che anche lei ha dovuto soffrire parecchio.
Me lei è un’Antigone. Sempre ribelle per la verità. Un po’ radicale nei suoi atteggiamenti, ecco. Sempre in duello con l’opportunismo e in difesa dei principi, sempre in lotta con Creonte.
Creonte? Chiedilo al professore alla tua destra. Lui lo sa. No, non è di queste parti.
Speriamo che non si ammazzi.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

sabato 4 aprile 2020

Cena (2)

SALMO
UNO

(Nel quale,
prima che passi in tàvola
tant’alcol quanto
il Naviglio,
il nostro protagonista si presenta:
e così lo conoscerete.
Ritroverete anche il Mozart.)

Comeandatafinire?
Beh, lui dormiva a casa; era agibile, la sua, al piano terra. Siamo andati lì. Poi ho chiamato il medico del campo. E, il giorno dopo, abbiam fatto denuncia. Lui ha detto che non li conosceva. Delinquenti! Muro Lucano è piena. Son venuti a Castelgrande e han visto la luce da fuori, l’han chiamato con la scusa che avevan bisogno. Lui è uscito. E giù botte.
Voi, qui, avete preso un po’ dalle bestie.
No, non voi di Barile. Ma, insomma, da queste parti. Poi: quello, Castelgrande, è un paese da lupi.
Beh, da lì in poi siam diventati amici, ne abbiam fatte di quelle! È stato un amico davvero, un grande amico. Buon bevitore e giocatore di biliardo. Lui era di Castelgrande e il giorno del terremoto era a Francoforte, era emigrato là. Forse adesso non ci torna più: è venuta giù anche la moglie coi figli.
Coraggio, Filippo, bevi il tuo vino. Meglio: il tuo succo di frutta! Vuota il bicchier ch’è pieno, riempi il bicchier ch’è vuoto.
Coraggio, ragazzi! Prosciutto e mozzarella.
Buon appetito.
Ma cosa ti segni? Abbiamo appena detto la preghiera.
Già, non è la sola cosa che fate per abitudine. Senza capire.
Un’abitudine buona? Se è un’abitudine, non è buona. Non ha coscienza. È un riflesso condizionato.
Dammi un sorso del rosso, va’. Rosso per modo di dire. Arancione.
Guarda quelli come sbevàzzano con ardore. Han già gli occhi rotondi.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

venerdì 3 aprile 2020

Cena (1)

INNO

(Che si può cantare
sull’aria del “Christe cunctorum”
o, per non scomodare il lucano Orazio
col “Carme secolare”,
al ritmo del “Piemonte” di Carducci,
o di “Alta Musa” del Parini,
o di “Egoismo e Carità” di Zanella;
esso inno ci introduce alla cena
del ventitré giugno,
che costituirà la parte più importante,
forse, della nostra lettura.
È recitato dal protagonista
Pasquale Chieffo.
L’inno e tutte le lodi mattutine
Son òpera del professor
Antonio Brambilla
e qui si ripòrtano
per gentil concessione
della regia.)
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

giovedì 2 aprile 2020

Perché un amico me ne ha parlato e tutto mi è piaciuto 12/12

M. Si. Ho fatto il passo. Ma io voglio diventare come lui.
FP. Come chi?
M. Come il Pasquale.
FP. Ma è come Cristo che bisogna diventare. O, Almeno, vivere come lui.
M. Appunto. La mia breve esperienza col Pasquale è una prova che mi ha convinto: Cristo vive, muore e risorge anche oggi.
FP. Ma, vede, il vero punto d’arrivo non è quel suo amico, che é morto.
M. Ma è risorto in me. Non son venuto qui?
FP. Si. Ma anche Cristo aveva un punto d’arrivo: Dio. Farci conoscere Dio.
M. Dio: io non lo conosco bene ancora. Ma ho imparato dal Pasquale che Dio non solo si può conoscere. Di lui si può anche vivere.
FP. Felix culpa. 
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

mercoledì 1 aprile 2020

Perché un amico me ne ha parlato e tutto mi è piaciuto 11/12

FP. Bene. Mi congratulo con lei, se è stato sincero. Vede: la confessione non è la psicoanalisi. Non è l’esame dell’inconscio, ma l’esame di coscienza. Lei deve aver fatto tutto ciò che era in suo potere: di ciò è giudice la sua coscienza. E Dio, s’intende. Più conoscerà il cristianesimo, la nostra vita e soprattutto la nostra logica, più il suo cuore si aprirà. L’importante è agire secondo coscienza e, contemporaneamente, fare in modo che la propria coscienza stessa diventi come quella di Cristo.
M. Lo diceva anche il Pasquale.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termin