Bravo, Filippo! Ti
mèriti un brindisi.
Senti, senti che evviva!
Ma làsciali fare.
Che si sbrònzino duri. Tu, ascòltami.
Perché, quando
stiamo bene, ci dimentichiamo delle
cose grandi e diventiamo bestie?
E perché, quando
stiamo male, ne prendiamo motivo
per far la stessa cosa e diventiamo, anche
allora, bestie?
Ci vuole, non so,
un distacco enorme da se stessi per
ricordarsi e rivivere le cose grandi
nell’euforia, nel dolore e nel
l’infamia dell’errore.
Vedi che sono
lucido ancòra?
Io spero che arrivi
presto, per me, l’età in cui certa menzogna
non ci sia più. Ma verrà? Un’età in cui ci sia
solo la
contemplazione.
La contemplazione,
questa sì ch’è una parola diversa,
ragazzi!
Io, qui, ho visto
una massa di gente smarrita in case in
rovina. Non parlo solo delle case di mattoni.
Del cuore parlo.
Si è raggiunto un
modus vivendi che rende accettabile
anche la noia, anche la mancanza di lavoro,
anche il venire
di giorni in cui non accadrà nulla.
Perché fuggite il
punto fondamentale?
Guardate ‘ste facce
qua attorno. Guardate! Molti son
destinati all’ozio, a vite inutili e squallide.
A squallide morti.
Come dice Eliot.
Anche la morte è
diventata la sera dalla quale ci si salva
non pensandoci, per voi. Anche la morte ci
trova insensibili,
non dice nulla.
E guardali come
invocano e àugurano. Invocano chi?
Augurano cosa? Li credi amici?
Cos’è per loro
stare insieme? Un alveare senza miele,
una seccatura se non c’è da godere, una casa
priva di figli da
tirar grandi, un albero senza frutti.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine
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