Si, si. Ne ho viste
e ne ho fatte. Ma questo è un inferno. Mi sembra d’esser Ulisse, con Priamo e i
cavalieri, come li ha messi insieme il ghibellin fuggiasco.
Il problema è che a
vent’anni si capisce poco e dai quaranta in poi non si ama più. Siamo scèttici,
tutti. Non siamo più capaci di aver simpatia per niente. Non si sa più lavorare
insieme. Uno invidia l’altro. Altroché cristiani! Bestie! L’uomo diventa una
bestia e il sangue va in vino.
Non è un j’accuse,
dottore. È la verità. Chi non ha più vent’anni se ne accorgerà.
Non si può aver
vent’anni tutti allo stesso momento, sarebbe una vita senza storia.
Il matrimonio? No.
Non è detto che sia quella la rovina. Il matrimonio è una vita comune: è un
cènobio, come un convento. Ci son conventi e conventi. Dipende dalla regola che
hai e dal cuore con cui la vivi. Anche di questo ho discusso con le suore a
Laviano. E anche con la Rosa, la ragazza che era con loro. Chissà cosa farà,
ora.
No, non insegno
niente. Imparo. Imparo da quello che vedo e incontro. Dalla gente. Una volta ho
fatto quattordici ore di viaggio in aereo con un arabo di fianco. Non lo
conoscevo. Ma abbiamo parlato tutto il tempo, solo attraverso mie domande:
senza insegnargli niente, ascoltavo le sue risposte.
Sì, ho viaggiato
molto. Ve l’ho detto.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine
Nessun commento:
Posta un commento