sabato 18 aprile 2020

Cena (16)

Ho detto ch’è stato un miracolo. Anzi: è stato un miracolo ostile: io avrei preferito restare tonto come prima e, se mi fossi ucciso, come pensavo, non avrei sofferto. Ma, se la vita m’ha fatto rinascere, ci sarà pure un motivo.
No, il motivo non me l’invento io! Tutti i capelli della nostra testa sono contati. E non si muove foglia che Dio non voglia, ragazzi! Perciò anche la mia lucidità ha un segno.
Senti, Filippo: mi sembra che questa cena sia un testamento. Se è così, tenètevi ben in cuore, dove può darsi che si trovino il cielo e la memoria, le cose giuste che v’ho dette.
Io non speravo nulla. Avevo deciso così ed ero tranquillo. Ero vuoto. Poi, però.
Certo, lo so: dovevo temere le speranze. Di qualsiasi tipo.
Sentite: voi siete perfetti? Chissà che fate, di nascosto! E magari rimproverate e picchiate i vostri figli in quello stesso peccato che voi state ancora facendo. E allora: che cazzo venite a fare gli inquisitori a me?
Bèh, ho raccontato i miei guai perché credo all’amicizia sincera. Il problema è che l’unica amicizia sincera, veramente sincera, si può avere solo con chi spera in ciò in cui hai fiducia anche tu.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

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