domenica 5 aprile 2020

Cena (3)

SALMO
DUE

(Nel quale,
dopo il Mozart,
si conosce la Luciana
e si vèngono a sapere,
assieme a crònache
di un tempo fermo,
molte cose ùtili
a chi vuol capire questa storia
senza andar per rane.)

Ilmiolavòro?
Diciamo che sono in pensione ormai. Avevo una ditta che fa mutande speciali, per bambini e anziani. Sai? Di quelle che, quando un vecchio è a giocare alle bocce, non lo obbligano a correre al cesso se gli scappa, perché non fanno passare e, così, non si capisce se s’è lasciato un po’ andare.
Bèh, cose normali! La vescica è un peso sempre più, con gli anni. Ogni tanto, anch’io mi sento debole e mi tocca andarci più volte. Certe sere che son già a letto, mi ricordo che dormirei più tranquillo se andassi a pisciare; poi penso che mi devo alzare e attraversare la casa: allora, se fa freddo, sto lì.
Sì, insomma, che verbo vuoi usare, mingere? Si dice pisciare, ormai.
Filippo, lui che è professore, forse lui può trovare un verbo che sia meglio. Tanto, qui siamo tra uomini e ci si intende.
Ma sono là in fondo le donne! Che vuoi che sentano? A proposito, quellalà bionda in fondo, vicino alla suora, chi è?
Sì. E cosa fa?
Strano. Mi sembra quasi d’averla già conosciuta.
Non dir cretinate. Cosa vuoi che m’interessi?
Si. Cioè lo ero, lo fui. L’ho già detto a lui, prima.
È morta. Tanti anni fa. E non ho figli, se proprio vuoi saper tutto. Tu hai il vizio di esser troppo curioso, amico.
Va bene, va bene.
Ma qui ci dev’essere una porta aperta! Ci son di quegli spifferi che danno i brividi.
Saranno chiuse, ma il freddo c’è. Beviamo, va’. Coraggio, che la vita è di passaggio! Beviamo: in vino veritas.
Filippo, cos’hai, male ai denti?
Vedo che hai la mano sulla bocca. Comunque, anche per il mal di denti, l’alcol fa bene. Una volta ne ho bevuto tanto, per un molare, che ho preso la sbronza. È venuta mia cognata a svegliarmi alle tre del pomeriggio del giorno dopo. Era una bottiglia di Ballantines, però.
Sì, la sorella di mia moglie. È di Muro. Ah, forse: ecco a chi somiglia la bionda là in fondo. Alla Luciana, a mia cognata.
È maestra. Poi si è laureata. Era a Roma il giorno del terremoto, poi è venuta a casa anche lei. Poveretta.
È un modo di dire, per tenerezza. Mica che sia povera: è per dire che anche lei ha dovuto soffrire parecchio.
Me lei è un’Antigone. Sempre ribelle per la verità. Un po’ radicale nei suoi atteggiamenti, ecco. Sempre in duello con l’opportunismo e in difesa dei principi, sempre in lotta con Creonte.
Creonte? Chiedilo al professore alla tua destra. Lui lo sa. No, non è di queste parti.
Speriamo che non si ammazzi.
Antonio De Petro, Fuor della vita è il termine

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